domenica 7 ottobre 2007

IL RACCONTO SCRITTO DA PATRIZIA: "A CENA COI LAVAVETRI"


Quello che segue e' un racconto che ci ha inviato Patrizia. E' un'opera di fantasia, i personaggi sono tutti fittizi

Lavavetri

La sera del giorno in cui fu emanata l'ordinanza che rendeva illegale lavare i vetri delle auto ai semafori, ci fu uno scambio di telefonate piuttosto intenso tra molti membri della comunità. Avevano bisogno di parlarsi, di vedersi: erano preoccupati per il futuro, per quello che sarebbe accaduto il giorno dopo; si chiedevano cosa fare, cosa dire... Sapevano benissimo che la stragrande maggioranza dei cittadini aveva tirato un sospiro di sollievo. Era vero: erano in troppi, qualcuno era davvero insistente, qualcun altro maleducato..., ma avevano anche la sensazione che la cosa di gran lunga più irritante fosse la stessa presenza fisica: trovarseli davanti, smagriti e sporchi a respirare ossido di carbonio sotto il sole o al freddo.Tanti non riuscivano ad immaginare un'esistenza peggiore da cui fuggire. Quindi si parlava di racket, di gente “obbligata” da forze criminose... e magicamente ecco una scusa valida per tenere sigillato il finestrino! Sicuramente creavano disagio.

Per la verità anche molti/molte automobilisti erano sinceramente maleducati: scherzi di pessimo gusto, insulti, oscenità... Per altri, meno grezzi, la cosa più urtante era sentirsi in colpa e bugiardi mentre a bordo di una bella macchina, con borse piene di spesa (e di generi non propriamente indispensabili!) si diceva di non avere niente per loro...

I membri della comunità sapevano che dietro le motivazioni di “ordine pubblico” c'era in realtà anche tanta frustrazione, nervosismo, insicurezza legata a mille fattori, come d'altra parte erano perfettamente consapevoli che quel tipo di vita non fosse molto dignitoso e che sarebbero stati necessari interventi per favorire un inserimento vero.
Il fatto è che molti di loro avevano avuto a che fare con i lavavetri.

Pier Enrico, per esempio, non era affatto spinto da sensi di colpa e sapeva di non risolvere un granché con il suo spicciolo però lo dava sempre, per principio. Dove c'era quella triste situazione di chi insulta e chi viene insultato lui voleva dimostrare, con un piccolo gesto, da che parte stava; gli avevano detto che l'ordinanza del sindaco era dovuta all'aggressività di questi soggetti, ma lui non ci credeva, con lui non lo erano mai stati.

Piera, due parole oggi e due domani, si era resa conto che Mohamed (dormiva sotto i cespugli in mezzo ai viali) aveva una gran voglia, frustrata, di farsi una doccia: così gli aveva offerto questa possibilità, tutti i sabati, dalle 10 alle 11.

Sandra aveva scoperto che i vestiti smessi di suo figlio potevano fare comodo a Misha, mentre a Elisabetta era capitato di curarne uno (con un ascesso che faceva paura) gratuitamente nel suo studio dentistico; anche Franco, che fa l'avvocato, ne aveva assistito uno (ovviamente senza parcella). Ilenia era stata buffa: aveva regalato al tipo che voleva lavarle il vetro tutte le mattine una bottiglia di detersivo e gli aveva detto che, se proprio doveva, almeno lo facesse per bene, col prodotto giusto...

Insomma molti di loro li avevano guardati in faccia e in qualche modo si erano fatti carico dei loro problemi. Si rendevano conto delle argomentazioni dei politici che stavano alla base dell'ordinanza, ma che ne sarebbe stato di Mohamed, Misha, Mina, ecc.?

Così decisero di vedersi la sera a casa di Sonia per pensare a qualcosa. Sicuramente non bisognava perdere tempo: nel momento in cui l'ordinanza sarebbe diventata operativa, ovvero in tempi stretti, tutti si sarebbero dispersi, sarebbero scomparsi (per poi “rimaterializzarsi” in forme diverse e forse non troppo piacevoli, dopo poco).

Decisero di organizzare una cena e di invitare i lavavetri, per parlare con loro e sentire che cosa avessero da dire. Prepararono un invito semplicissimo, ma tradotto in varie lingue:

“Sei invitato a cena, così potremo discutere (con interpreti) e pensare ad un'iniziativa dopo l'ordinanza che mette fuori legge i lavavetro”, con la firma, le indicazioni per arrivare e un versetto della Bibbia che parlava di accoglienza. Furono tre giovani che si preoccuparono di stamparlo e poi di andare a distribuirlo la mattina dopo ai semafori, spiegando l'iniziativa.

Non tutti erano convinti: Linda ad esempio aveva una cabrio e proprio non li sopportava, mentre Luigi si era premurato di telefonare al pastore per invitarlo alla prudenza e dirgli che non bisognava entrare nel merito di questioni politiche; diceva che la stampa avrebbe potuto strumentalizzare la notizia, che si poteva screditare il nome della comunità... Il pastore lo rassicurò, ma lo invitò caldamente a partecipare.

Riuscirono a preparare la cena, anche se non si aveva idea di quante persone sarebbero venute; più difficile fu assicurasi la presenza di qualche interprete. Si interpellò la comunità evangelica ucraina che si riunisce presso la chiesa metodista e quella rumena che si riunisce in chiesa battista (anche se le donne erano in difficoltà ad uscire la sera e si sentivano in imbarazzo a fare da interpreti a uomini, mentre i loro mariti avevano turni impossibili e doppi lavori che li vedevano occupati in quell'orario), per il polacco ci pensò don Sarti, che era amico del pastore, di arabo non trovarono nessuno, ma erano fiduciosi di cavarsela col francese, inglese... e l'italiano.

Avevano deciso che la riunione sarebbe terminata alle 22 e poi loro avrebbero discusso per un'altra ora per trarre qualche conclusione e decidere il da farsi.

La simpatia dei giovani e la speranza di trovare aiuto fecero sì che molti vincessero la diffidenza e accettassero l'invito. Arrivarono timidamente e lentamente, ma alla fine erano una ventina. Ci fu la gradita sorpresa di vedere arrivare alcune persone che avevano trovato interessante l'iniziativa: due giovani della parrocchia, un consigliere del Quartiere e altri quattro.

L'imbarazzo iniziale svanì presto perché gli “invitati” si resero conto che c'era un interesse reale nei loro confronti ed iniziarono a raccontare le loro storie.

Sandro pose la domanda sul racket.

Loro non ne sapevano nulla. Però dissero che ogni tanto arrivavano dei tipi prepotenti e che vigeva la legge del più forte per accaparrarsi i posti migliori. Qualcuno disse di essersele anche prese, ma di non aver trovato ascolto. Anna chiese come mai non si cercavano un lavoro migliore, Piero chiese dove abitavano, qualcuno voleva sapere perché non andavano dall'assistente sociale... molti membri della comunità impararono cose istruttive sul funzionamento reale dei servizi sociali quella sera.

Insomma si trattò di uno scambio interessante e alle 10 nessuno aveva voglia di mandarli via, anche perché qualcuno di loro veniva da lontano ed aveva avuto difficoltà a trovare il posto, così era arrivato tardi, ma così era stato deciso. Molti membri della comunità avevano fatto lo sforzo di partecipare, qualcuno veniva da fuori città e non si poteva chiedere loro di tornare la sera successiva.

Iniziò la discussione. Tutti erano stati contenti dell'incontro avuto, ma quanto alle iniziative concrete per andare avanti si spaziava tra posizioni molto distanti.

Pensando di orientare il percorso decisionale qualcuno disse che sarebbe stato giusto chiedersi che cosa avrebbe fatto Gesù in questa situazione. Al che uno dei giovani disse che secondo lui Gesù poteva essere un lavavetri, uno di quelli che erano usciti alle dieci. Questo fece sbottare Luigi “Questa è mistica cattolica medioevale: “Gesù nel povero”; con tutto il corollario di elogio dell'elemosina ecc. Non ci appartiene culturalmente, la Riforma ha dato una spallata a questi sistemi ipocriti dove la povertà diventa un valore...”

“E' vero -aggiunse Susy, con il suo accento che tradiva le origini elvetiche- in Svizzera sono ammessi gli artisti di strada, perché quello è comunque un lavoro, ma non la mendicità”. Suo figlio Luca fu fulmineo nella replica: “Sarà per questo che avete commesso una specie di “etnicidio” nei confronti dei Rom, sottraendo i loro figli per darli in adozione a famiglie per bene...”

La discussione prendeva quota, ma intervenne Carlo, il responsabile delle attività culturali: “Sono felice di vedere il vostro interesse per queste questioni storico-culturali che in effetti potrebbe essere molto utile approfondire, vedremo come circolo di considerare la cosa, ora però occorre essere operativi...”.

Si fece molto tardi, ma alla fine la decisione fu presa.

Si può dire che non fosse soddisfacente per nessuno. Secondo Piera era carente l'analisi politica: come si poteva prendere in considerazione la fine del problema se non si parlava delle sue cause; Luigi era preoccupato più di prima di quello che avrebbero pensato i suoi colleghi e i suoi vicini; per Linda sarebbe stato meglio dedicare tutte quelle energie agli anziani soli; Elisabetta pensava che si sarebbe potuto fare di più, mentre Susy era convinta che l'iniziativa fosse giusta, ma che ci fosse troppa approssimazione nell'organizzazione: così avrebbe potuto funzionare...

La cosa incredibile però è che l'iniziativa fu portata avanti e molti, in misura diversa, si impegnarono. Perché tutti avevano deciso di fidarsi dei loro fratelli e delle loro sorelle.

Questo sì, li riempì di entusiasmo

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